Punizione.

Ammirata dell’opera fine e vivace delle miniature la signora aveva molte esclamazioni e troppe interrogazioni per ciascuna pergamena che le ponevo sott’occhio: — Che significa quest’allegoria? — Che festa solenne sarà questa a cui concorre sí lunga fila di dame e gentiluomini? — Chi è questa regina che scesa dalla carrozza a sei cavalli s’inginocchia dinanzi a un cardinale? — Che bel teatro, e quanta gente, e curiosi i comici in scena! Forse è un teatro di Bologna? — Sono scienziati o diplomatici costoro in grave radunanza?; — ond’io piú d’una volta mi confusi a rispondere o non risposi, ed ella levò a me gli occhi, ahi!, sorridenti, come le labbra, di sottile sarcasmo. Però quando fummo a una rappresentazione dello Studio ed ella accennandomi gli scolari — Come bellini! E come dovevano vivere lieti! — parve desiderare qualche notizia intorno ai loro costumi, e pure non sperarla da me, sentii giunta finalmente l’occasione a punirla un po’ della curiosità sua e piú della sua malignità, e cominciai:

— Vivevano lieti, ed è piú facile trovar ricordi dei loro sollazzi e delle loro monellerie che dei loro studi. Cosí, se ai giovani capaci d’ogni gentile adoperare anche al principio del seicento veniva in premio l’amore, anzi tutto è da credere che le donne si disponessero a compiangerli allorché traevano la dolce pienezza dei suoni dal piú leggiadro degli istrumenti: il liuto. Sonavano pure il clavicembalo e la viola e cantavano a libro commovendo con diverse arie diversi affetti: l’arie lombarde accendevano l’animo all’ardire, le napolitane invece lo intenerivano, le francesi l’inacerbivano con veemenza, e le spagnole al contrario lo rendevano mansueto; l’arie toscane temperavano in cuore gli affetti. Ma giacché le donne furono sempre crudeli a pungere chi manchi di prontezza e sagacia nei discorsi, gli scolari del secolo decimosettimo cercavano con assai cura i motti arguti e le parole soavi, le quali avevano piú agio a profondere nei tardi giri e nei riposi frequenti della pavana. Per questo la pavana era sempre uno dei balli preferiti; ma a porre in mostra la grazia e l’agilità della persona tornavan meglio le gagliarde e ai giovani che, come si diceva allora, facevano professione di cappa e spada, conveniva esperienza di molti altri balletti, tra cui alcuni un po’ licenziosi. Tale la nizzarda, per cui i ballerini movevano in fretta tre passi abbracciando la donna in guisa che pareva la baciassero; ed io, signora....

— Non c’era educazione in quei tempi!

— Veramente in conversazione riusciva non di rado piacevole certa grossolanità di atti e di parole, e, per esempio, una dama poteva punire con “una solenne pianellata„ l’innamorato troppo audace in richiedere, e quegli rispondere allegro: — “Buon destriero non teme calcio di cavalla„ —, ma poi la sottigliezza dei precetti a distinguere e rispettare i vari gradi delle persone era tanta che, stia certa, darebbe gran pena a noi oggidí. Il tormento peggiore era forse a girare in compagnia, perché passeggiando uno con persona degna di deferenza doveva sempre guardar di lasciarla alla parte piú onorevole, la quale cambiava nei luoghi diversi; e se in un giardino poteva essere determinata dalla vicinanza della porta d’ingresso, sotto un portico era invece dal lato del muro, e in una sala dalla disposizione degli usci e delle finestre. Per strada, in Lombardia camminava a piú onore colui che stava rasente il muro, dove nelle città di Toscana e a Venezia sempre colui che si teneva alla destra. E quando tre andavano insieme, in mezzo stava la persona di maggior grado, ma se i tre si sentivano uguali, ognuno, secondo l’usanza spagnola, prendeva il mezzo di tratto in tratto e di tratto in tratto passava alle parti e l’orgoglio di tutti era salvo. Bensí a spasso con un principe o con un gran personaggio non si penava, perché, rimanesse egli a destra o a sinistra, lo distinguevano tutti egualmente. A cavallo, in due o piú, d’estate riceveva onore chi precedeva; d’inverno, chi seguiva gli altri: in carrozza, il padrone secondava i gradi di coloro che l’accompagnavano con l’ordine dei posti; in camera, dinanzi al fuoco, faceva sedere il visitatore nel sito mediano; fuori o dentro la porta di casa.... La storia è lunga, lunghissima poi per gl’intrecci di regole e di eccezioni che il barocco galateo stabiliva riguardo agli incontri per via, i quali potevano essere tra maggiori, inferiori, uguali; in istrada “propria„ o “altrui„; tra persone a piedi e persone a cavallo; tra carrozze recanti signori e carrozze vuote.

Bisognavan riguardi non pochi anche ai conviti, in cui sarebbe stata offesa grande alla gravità e all’assennatezza dei commensali offrir loro ravanelli, cervella e sale; e pe ’l sale era anzi un proverbio: “Né moglie, né acqua, né sale a chi non te ne chiede non gliene dare„, quasi che essendo male educati o ignorando l’adagio si potesse offrire la moglie agli amici. Ma oggidí, signora....

— Non esca di carreggiata e parli un po’ piú degli scolari.

Contra pupillos omnia jura clamant; e alla “spupillazione„ — ciò era “la ricognizione d’un paio di guanti o d’una dozzina di stringhe di seta„ che i nuovi studenti pagavano a quelli della nazione o città ove andavano a studio, — conveniva acconsentire per amore o per forza: ai neghittosi erano rubati i ferraioli e svaligiate le camere senza misericordia. Uccellavano gl’incauti “pupillotti„ anche i bidelli, i quali avendo una ricompensa da ogni scolaro che si laureasse, conducevano al loro dottore piú discepoli che potevano. Visitare i lettori era dovere; piaceva gridar viva ad essi nelle scuole e fin per le strade. Ma piaceva anche a non pochi ridere, susurrare, sbadigliare, zuffolare, discorrere forte, stropicciare i piedi durante la lezione; onde i maestri erano costretti piú d’una volta a scendere di cattedra: si vendicavano pungendo con motti i disturbatori.

Per altro a quei tempi infelici non tutti i lettori erano uomini di profonda dottrina e molti si disprezzavano e mordevano a vicenda. Cosí ad uno che disse a un suo emulo: — “V’intendete di fagioli, non di leggi —„ l’avversario rispose pronto: — “Sí certo che m’intendo di fagioli, poiché non a pena vi vidi, che per tale vi conobbi.„ Ma se gli scolari studiavano meno d’adesso, non giocavano meno. I giochi del secolo decimosettimo erano molteplici e leciti e illeciti: tra questi, quello dei dadi; tra quelli, il lotto, la farinazio, il giretto e la morra. Gli scacchi e la dama dilettavano come giochi “d’ingegno„; d’“ingegno e fortuna„ lo sbaraglino, la primiera e gli altri di carte, per i quali giovavano certe norme fissate in proverbi come: “Sette e fante dalli a tutte quante„, e “ambasso fatti avanti un passo„, e “non si può far assi senza risicare„; d’“ingegno, fortuna e agilità„, la palla, il pallone e il maglio; solo d’agilità, ma piú convenienti “a soldati che a scolari„, la corsa ed il salto.

Se non che agli scolari del seicento piacevano altri giochi, e non badando che “si trovano molti fiaschi rotti con le vesti nove„ — il detto è d’allora — pericolavano a smarrire la “grazia dell’aspetto„ e a ingiallare: ma ai dí nostri, o signora....

— Su quanti libri avrà sudato vossignoria per apprendere tutte queste belle cose!; — e stanca rifinita allontanava da sé le pergamene maledicendole tacitamente.

Io volli compiere con la punizione la lezione: — Al signor Annibale Roero, nel 1604 non per anche laureato dottore e tuttavia occupato, com’egli scriveva, nel “viluppo delle legali materie„, parve bene rivolgere la sua esperienza e dottrina di scolaro all’università di Pavia in profitto di quelli che si disponessero allo studio del giure, e imaginando sé stesso a ricevere consigli e istruzione dal signor Saglijno Nemours, dalla signora Caterina Roero Nemours e dal conte Galeazzo Roero, per via di quattro dialoghi diede l’“idea del perfetto scolare„. E poiché non solo raccolse le norme seguendo le quali i giovani avvantaggiassero di piú nella scienza, ma stese ancora le regole a procedere saviamente e gentilmente, nel libro dello Scolare, tra le nobili sentenze di filosofi e di poeti e gli umili proverbi, tra gli aneddoti antichi e nuovi e i racconti di nuove burle, tra i motti ridevoli e le risposte avvedute, restano non poche notizie de’ costumi ch’erano propri alla miglior società nel principiare del secolo decimosettimo. Signora, vuol leggere il libro curioso?

— Grazie: preferisco Daudet.

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