Un carattere.

— Entri, di là, entri. La signorina Lidia sta poco bene.

Renzo Frioli si arrestò su la soglia del salotto, impallidendo.

— Niente di grave! — soggiunse la vecchia serva — Lei lo sa: la signorina è molto apprensiva. La sua visita le farà bene. È tornato oggi?

— Alle cinque e mezzo.

E pel corridoio che conduceva alla camera di Lidia, andando dietro a la serva che lo precedeva col lume, Renzo si passava e ripassava le mani su la fronte diaccia, anticipatamente atterrito di quel che stava per accadere.

Lidia aveva parlato? Come lo avrebbe ricevuto davanti ai genitori? Che avrebbe egli potuto dire per scusarsi con loro, per spiegare il fatto?

Non aveva avuto tempo di rispondere alle rapidissime domande. La serva, picchiato leggermente all'uscio e apertolo, si era tirata da parte per lasciar passare il fidanzato della sua signorina, come essa lo chiamava da sei mesi.

Nella cameretta mezza al buio, Renzo scorse subito la signora Aurelia al capezzale della figlia e il signor Franzeri sprofondato nella poltrona a sinistra dell'uscio. Sotto le coperte bianche del letto si distingueva appena l'esile corpicino di Lidia.

La faccia sbiadita, con gli occhi chiusi e le labbra smorte, risaltava sul guanciale soltanto pel contorno dei neri capelli quasi disciolti.

Renzo non osò d'inoltrarsi.

— Riposa? — domandò sotto voce al signor Franzeri.

— Non credo; è vero, Aurelia?

La signora Aurelia porse a Renzo la mano, e lo attirò davanti al letto.

— Lidia! Lidia! — chiamò. — Guarda chi c'è?

Lidia aperse gli occhi, tentò di sorridere e con fioca voce disse:

— Ben tornato, Renzo!

— Come stai?

— Bene... Un po' di febbre... Non si muore di questo!

Renzo ebbe un brivido all'accento di amarezza con cui erano state pronunziate le ultime parole; egli solo poteva intenderne il nascosto significato.

— E da quanti giorni? — domandò alla signora Aurelia.

— Da tre giorni... Veramente io avevo fatto notare a Franzeri — la signora Aurelia chiamava così suo marito: — Tua figlia ha qualcosa... Quando è stato?... Domenica o lunedì.

— Lunedì — confermò il signor Franzeri.

— Sì, lunedì mattina. — Che può avere? — egli mi rispose — Ha il fidanzato lontano... Le ragazze, si sa!...

— Mamma! — la interruppe Lidia con un fil di voce.

— Figlia mia!

La signora Aurelia levatasi premurosamente da sedere, si chinò su la malata, che mormorava:

— Sta zitta!... Non posso sentir parlare! Scusa!

E richiuse gli occhi.

Renzo sedette su la seggiola vuota in faccia alla signora Aurelia. La incerta luce che spandeva attorno la lampada coperta dalla ventola di seta azzurra, il silenzio soltanto interrotto dai brevi colpetti di tosse del signor Franzeri, e quel letto bianco dove la malata, con gli occhi chiusi e le labbra smorte, pareva sul punto di spirar l'ultimo fiato, producevano su l'animo di Renzo Frioli tale opprimente impressione ch'egli si sentiva mancare il respiro.

Rammentava, come sogno lontano, le prime settimane del suo fidanzamento. Lidia, infreddata, aveva dovuto mettersi a letto: e in quella stessa cameretta, seduto nel posto dove ora stava la signora Aurelia, avea passato ore e giornate deliziosissime preso da allegra parlantina che le risa di Lidia eccitavano maggiormente.... Lidia gli aveva rammentato spesse volte quelle giornate, quelle serate d'inverno, col vento che urlava fuori, con la pioggia che scrosciava sui vetri della finestra, mentre la cameretta risuonava della loro allegra conversazione e lei, rannicchiata sotto le gravi coperte, benediceva quasi la infreddatura che le permetteva di star calda calda, a quel rigido tempaccio... Era così freddolosa!.... E rideva.

Renzo aveva davanti agli occhi le belle labbra rosee di allora, gli occhi vivacissimi che gli dicevano tante e tante affettuosissime cose: labbra ora scolorite e mute, occhi ora chiusi quasi spenti... E quell'esile corpicino! Allora inquieto, sobbalzante dalle scosse delle larghe risate, ed ora stirato, immobile, sotto le coperte, come di morta....

E — gli pareva — da un giorno all'altro! Quella lieta felicità, dalle prime settimane era durata sempre uguale fino alla settimana scorsa... No, c'era stata una nuvola passeggiera, un'ombra tra loro... Lidia aveva saputo qualcosa della relazione di Renzo con la Candian, vedova d'un dottore veneziano... Renzo non aveva potuto negare; la cosa era troppo nota... Ma aveva giurato a Lidia che da un pezzo essi non si vedevano più, e che la Candian stava per sposare un alto impiegato del ministero della Guerra.

Lidia si era rassicurata. Ora Renzo avea rimorso di aver mentito alla buona creatura che gli voleva tanto bene. Non già che tra la Candian e lui durasse tuttavia la passione che aveva buttato l'una tra le braccia dell'altro con impeto quasi selvaggio...

Dopo tre anni, ella aveva riflettuto intorno alla sua situazione nella società; egli si era accorto che la sua amante aveva quattro o cinque anni più di lui. Nè l'uno nè l'altra avevano mai fatto parola di questo: ma la loro relazione non viveva più d'amore; sopravviveva all'amore. Maggiormente staccato lui, Renzo, che intanto non voleva farglielo capire, per fiacchezza d'animo, per delicatezza forse anche... In quegli ultimi mesi, intanto, era avvenuto nella Candian un ravvivamento inaspettato. Renzo, con l'animo già pieno del nuovo amore, per Lidia, ch'egli corteggiava da qualche tempo (senza però dichiararsi, a fine di scovrir terreno e aver la certezza di non essere sgradito) aveva sentito da prima gran fastidio di quell'improvviso rinfocolamento; poi si era lasciato vincere dalla pietà, precisamente quando egli era sul punto di far capire alla Candian che le circostanze sociali lo costringevano a dare un altro indirizzo alla sua vita... Così egli si era trovato alla fine tra due fuochi. Alla Candian non avea più detto niente del fidanzamento con Lidia, rimettendo la cosa da un giorno all'altro, e a Lidia....

— Oh Dio! Oh, Dio!

Gli venivano i brividi pensando a Lidia...

— Come era avvenuto? Che benda aveva sugli occhi in quel momento? — Rimandando a Lidia alcune sue lettere, ch'ella voleva rileggere..... Era nata una disputa fra loro: Lidia diceva di avergli scritto una cosa: lui affermava di no... Come finire la questione? Riscontrando le lettere.... Egli le aveva messe dentro una busta — erano cinque o sei — e gliele aveva consegnate di sua mano, un sabato sera; Lidia dovea rileggerle, trovare il passo controverso....

— Dio! Dio! Non era dunque un cattivo sogno? —

Tra le lettere riportate egli aveva avuto la sbadataggine di metterne una della Candian, l'ultima, recentissima, tutta piena di abbracci, di baci... e di gelosia anche, perchè la notizia del fidanzamento di lui con Lidia Franzeri le era finalmente arrivata all'orecchio... Renzo s'era arrabbiato, aveva negato, prendendosela o meglio fingendo di prendersela contro la pettegola società nella quale non si poteva più vivere tranquilli... Appunto, appunto in quella lettera la Candian gli diceva: — Ti ho creduto!

E Renzo si rivedeva nella sua stanza, tutto allegro di aprire la busta d'una lettera di Lidia... e si rivedeva buttato sul canapè, come fulminato, con ai piedi il terribile foglio cascatogli, non letto intero, di mano.....

E stupito di trovarsi ora in quella cameretta — di faccia alla signora Aurelia, con Livia trambasciata, febbricitante, forse colpita a morte dalla sbadataggine di lui, col signor Franzeri che lottava contro il sonno su la poltrona accanto a l'uscio — si vedeva riapparire davanti agli occhi il funesto foglio, poi letto e riletto più volte, e gli pareva di rileggerlo:

“Signore. Questa lettera non è mia e ve la restituisco. Come siete stato crudele! Lo avete fatto a posta o per isbaglio?„

— A posta?... Dio mio!... A posta? — ora protestava di nuovo.

E gli pareva di continuare a leggere:

“Nell'uno e nell'altro caso, avete commesso un'infamia senza nome! Che male vi ho fatto? Vi amavo!... È inutile dirvi che tutto è finito tra noi. Non ho forza di scrivervi altro. Quando ci rivedremo, vi dirò a voce il resto... Non tentate di scusarvi, sarà inutile. Rassicuratevi però: nessuno saprà mai niente!„

Ed egli si era scusato, e aveva atteso invano una risposta. Poi era scappato via, per Firenze, con la scusa di un affare di suo zio, ma veramente per sbalordirsi, per riacquistare tanta forza da dominarsi e poter affrontare la dolorosa scena di quella spiegazione che doveva decidere del loro avvenire.

Ed eccolo lì, in attesa della sua sentenza, con l'animo straziato dallo spettacolo di quella malata... ah, non malata ma assassinata, povera creatura! E l'assassino era lui!

— Franzeri, tu caschi dal sonno! — disse la signora Aurelia al marito.

— No; questa luce mi affatica gli occhi e perciò li tengo chiusi.

— Che! Va' a dormire. Fai cerimonie con Renzo?

— Buona notte, dunque! — disse il signor Franzeri, rassegnandosi facilmente ad andare a letto. — Non la svegliare — soggiunse alla moglie, indicando la malata.

E andò via, ciondolando quasi barcollasse.

Renzo fece un movimento. Lidia, aperti gli occhi, li aveva subito richiusi. Dunque non dormiva; dunque non li teneva chiusi per stanchezza, ma per non veder lui!

Aveva ragione, povera creatura! E già stava per alzarsi e accomiatarsi, quando la signora Aurelia gli domandò:

— L'affare di tuo zio è andato bene?

— Male anzi. Dipende — soggiunse con subita ispirazione — dalla volontà di una persona che è indignata di un atto inescusabile, sì, ma spiegabilissimo di mio zio, uomo fiacco, irresoluto. Quella persona però, seria, ragionevolissima, ha avuto le più ampie spiegazioni; altre ne avrà. Speriamo che non si ostini nel suo falso giudizio. Il povero zio ne impazzirebbe.

— Si tratta di cosa grave?

— Gravissima per le conseguenze, non per sè stessa.

— Figuriamoci tuo zio!

— Non sa darsene pace!

Rispondendo, Renzo avea guardato più volte Lidia, sperando che gli mostrasse di aver capito che egli intendeva alludere al loro affare; ma Lidia era rimasta immobile, con gli occhi chiusi.

Fu picchiato all'uscio. La serva annunziava la visita d'una signora per Lidia; doveva farla passare?

— Riposa; non voglio svegliarla — disse la signora Aurelia. — Vo' io di là, un minuto. Caso mai, vieni a chiamarmi — soggiunse, rivolta alla serva, facendole cenno di rimanere.

La vecchia, appoggiata allo spigolo dell'uscio, attese un po' in silenzio, poi domandò:

— Le dura ancora la febbre?

— No. Se hai da fare, ci son io qui — disse Renzo.

— Vo' a finir di cenare, giacchè permette. Tanto, lei...

E non compì la frase. Il fidanzato della sua signorina poteva vegliarla meglio.

— Lidia! Lidia mia!

Renzo, alzatosi subito da sedere, stava per posare una mano su la fronte di Lidia. Ma ella aveva aperto gli occhi e cavato fuori il braccio per impedirgli quell'atto.

— Non mi toccate!... Non venite più! La vostra vista mi è odiosa! Dovreste capirlo, Ah, che infamia!... Ma vi ho perdonato, Renzo! Siete un uomo come tutti gli altri... ed io vi credevo diverso! Per carità verso i miei genitori, che vi stimano e vi amano come non meritate:... io non dirò mai una sola parola di quel che è accaduto. Trovate voi una scusa, un pretesto di rottura...

— Lidia! Lidia mia! — la interruppe Renzo balbettando:

— Io non mostrerò di affliggermene troppo per non affliggere loro.

— Lidia, non è possibile!... È assurdo!

— Trovate un pretesto... e subito!... Non mi fate morire di angoscia prolungando più oltre questa tortura. Vi ho perdonato. Ve ne do una gran prova... Vi sarò anche grata... vedete? perchè voi solo mi avete fatto provare che cosa sia amore! Non insistete!... È inutile! È inutile... Non sono più la vostra Lidia... Non sarò di nessuno. Lasciatemi morire tranquilla!... E se anche non morrò... Andate via... Non vi fate vedere più in questa casa!... Addio! Addio!... Viene la mamma... Sedetevi.... Non vi fate scorgere!...

E mentre si avvicinavano i passi strascicanti della signora Aurelia, Renzo ricadde su la seggiola coi gomiti su le ginocchia, con la faccia fra le mani.

Aveva capito dal suono della voce, dagli sguardi di Lidia che la terribile sentenza era irrevocabile, ahimè!

— Hai sonno anche tu, Renzo? — disse la signora Aurelia vedendolo in quella positura.

— Viaggiare di notte mi stanca. Non posso dormire in ferrovia.

— Lidia!

La signora Aurelia scosse leggermente la figlia.

— Renzo va via; è stanco.

Lidia lo guardò fissamente con occhi supplicanti:

— Addio! — disse sforzando le labbra a un sorriso.

— Buona notte! Riposa bene!...

La signora Aurelia volle accompagnarlo fino in salotto.

— Non è niente — disse. — Non essere apprensivo più di Lidia. Come sei sconvolto in viso! Vi fate tutti e due il mal augurio, Dio mio! Il dottore verrà alle 10 di mattina domani. Ecco i giovani d'oggi! Un'indisposizione da nulla li atterrisce!

Renzo non poteva parlare. Sentiva la lingua incollata al palato. Strinse la mano della signora Aurelia che dal salotto volle accompagnarlo fino all'uscio, confortandolo, e garrendolo per quell'aria di funerale che aveva:

— Ecco i giovani d'oggi!

Scese le scale lentamente, rivoltandosi per guardare quell'uscio che si chiudeva dietro a lui per l'ultima volta, per sempre! Non poteva illudersi. Sapeva che carattere di acciaio fosse quello di Lidia. Tentar di piegarlo era opera vana! E il cuore gli scoppiava! E la mente gli vagellava.... Era dunque finita? Per una sbadataggine? E un impeto di terribile odio contro la funesta Candian gli faceva stringere nervosamente i pugni!... E un disprezzo di sè stesso, della sua vigliaccheria di fronte a quella donna, e della miseria delle passioni umane gli saliva come una nausea dal profondo del cuore!...

Il cielo era sereno, limpidissimo. Uno splendido chiaro di luna inondava le vie e le piazze, quasi deserte. E la placida solennità di quella notte di luglio gli pareva un insulto alla sua immensa ma ben meritata sciagura!

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